Antonio Moscogiuri - Maggio 2020
Credo di aver trascorso l'ultima parte dello scorso anno a lamentarmi sul fatto che, di lì a poco, sarebbe arrivato un nuovo anno bisestile.
Il mio rapporto con questi 366 (365+1) giorni che si ripetono ciclicamente ogni ogni quattro anni non è mai stato idilliaco. Da che ho memoria, ricordo sempre gli anni bisestili forieri di stravolgimenti e cambiamenti, o semplicemente di contingenze poco gradevoli e non desiderate. Credo che questo 2020 non abbia assolutamente disilluso le aspettative. Anzi, suppongo abbia raggiunto l'apice di iattura nella classifica degli anni bisestili più complicati di cui abbia memoria.
Ad ogni modo c'è sempre una morale positiva da cogliere guardando attraverso le fessure di ciò che ci sembra essere un'esperienza di vita complicata. La situazione di instabilità globale, dovuta al rischio sempre incombente della pandemia, ci ha costretto a restare lungo tempo in casa, senza poter vedere nessuno (o quasi), senza poter toccare nessuno, senza poter vivere nella maniera in cui eravamo abituati.
Dopo un primo shock iniziale, che ha visto tutti i nostri piani andare in fumo, i nostri progetti coltivati per anni sgretolarsi come sabbia, abbiamo imparato a convivere con questa situazione. Ma non illudiamoci, si è parlato della riscoperta di una nuova vita, di un nuovo pensare, di un nuovo lavorare.
Nulla di vero, a mio avviso. Abbiamo semplicemente fatto di necessità virtù. Ci siamo adattati, cosa che noi uomini facciamo da secoli. Nell'attesa che la nostra vecchia realtà ritornasse, coscienti del fatto che in realtà non sarebbe più stato così. Ma attenzione, qualcosa di cui fare tesoro c'è stata.
Mentre vivevamo in questa grande bolla, questa dimensione a noi sconosciuta in cui non si vedevano passare automobili sotto il balcone di casa, in cui si sentivano solo il rumore di tram, autoambulanze ed elicotteri, abbiamo riscoperto i nostri spazi e riformulato le nostre abitudini.
Io personalmente non ho sofferto affatto la segregazione.
Dal momento che la mia vita normale si consuma in giro fra persone e luoghi, diviso tra appuntamenti, vernissage, sfilate, incontri ed eventi, ho scoperto il privilegio di uno stop assoluto.
Uno stop condiviso con tutto il mondo. Ho goduto di questo momento, ho goduto del poter restare sveglio fino a notte fonda e dormire fino a metà giornata, ho goduto di aver visto dei film dopo cena, un piacere semplice che non avevo modo di gustarmi da anni, ho goduto del niente, del non programmare, del non rispondere al telefono, del non turbarmi per l'arrivo di email spiacevoli, del vivere lentamente e con svogliata leggerezza. E per di più, forse, mi sono anche innamorato. Vivendo il primo momento della relazione con quell'intensità e quell'attesa sognante quanto struggente di cui si è sempre raccontato nei romanzi.
E poi mi sono annoiato, che meraviglia aver potuto riscoprire la noia. La noia vera, quella che provavamo da piccoli quando non potevamo uscire a giocare perché i nostri genitori ci obbligavano a restare chiusi nella nostra cameretta mentre riposavano il pomeriggio.
Sì, le ripercussioni che questa situazione ha e avrà sulle nostre economie saranno tragiche, terribili, e mi spaventano molto. La moda e l'editoria di moda si domandano che cosa sarà, inerpicandosi in voli pindarici, comunicati e dichiarazioni. Ma in realtà nessuno sa che cosa accadrà. Tempi rallentati? Può darsi. Niente più sfilate? Impossibile. La moda vive di autoreferenzialità, vive di incontri fra persone, che a loro volta scambiano idee e immagini. E dall'incontro di queste nasce il sogno del lusso inarrivabile.
Se c'è una cosa che abbiamo imparato durante questi mesi sospesi è che il tanto osannato e meraviglioso mondo digitale non potrà mai sostituirsi alla molteplicità e imprevedibilità di interazioni che avvengono in un mondo che è reale. E questo vale per la moda, per l'arte, per la finanza, per la politica, per ogni aspetto dell vita.
Che cosa c'è di più bello del poter osservare a poche decine di centimetri una statua di Canova? Che cosa c'è di più magico del sedere a contemplare un quadro maestoso di Gericault? Quanto è bello prepararsi e uscire di casa in fretta e furia per non fare tardi a teatro? Quanto è appagante guardare negli occhi degli studenti e raccontare loro delle proprie esperienze? Come si può dimenticare il gusto di un panino artigianale comprato per strada dopo una notte a ballare in spiaggia?
Siamo uomini perché animali sociali, e queste mancanze ci sono costate tanto. Nel mondo che ci apprestiamo a vivere di nuovo sarà tutto come prima, così come lo abbiamo lasciato e come lo ricordiamo? Non si sa, e francamente chi se ne importa.
Non è questo il momento di pensarci, adesso è il tempo dell'adesso.
Antonio Moscogiuri - Giornalista di moda, docente presso la Nuova Accademia di Belle Arti di Milano, direttore creativo ed editore di CAP 74024, Les Hommes Publics & Les Femmes Publiques.
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Ph. Alessio Boni (1), Marcus Cooper (2), Naguel Rivero (3-4).