Diego Bergamaschi - Aprile 2020
Rifletto su cosa resterà di questo tempo o di questo non-tempo o forse di questo iper-tempo. Mi sto confrontando con una realtà spazio temporale inedita, una dimensione domestica tanto agognata e ambita da tutti che oggi diventa una prigione dorata, per di più privandoti senza colpo ferire anche del diritto di mettere il naso fuori dalla porta.
Una dimensione in cui il tempo non sembra scorrere ma in quello stesso non-tempo non riesci a completare nulla di quello che ti eri posto come obiettivo la sera prima perché paradossalmente fai troppe cose. E poi questo frustrante corto circuito tra la surreale quiete domestica che non conosce discontinuità e gli scenari tragici dipinti a tinte fosche che arrivano ogni momento via etere o via cavo.
Per reagire a questa solitudine fisica abbiamo stressato all’inverosimile la socialità virtuale, estendendoci attraverso la rete e portando il nostro network umano a diventare esclusivamente network digitale. Apro la mia finestra sul mondo, Instagram e osservo fatti e persone, amici e conoscenti, interagisco e guardo con attenzione più o meno viva.
Tempo fa io ed altri amici collezionisti abbiamo creato, allo scopo di rendere virtualmente fruibile le nostre collezioni d’arte sia a noi stessi che alla comunità artistica in senso ampio (studenti, ricercatori, collezionisti, curatori, critici…), una piattaforma online di archiviazione digitale delle opere in collezione (www.collectionofcollections.org).
Abbiamo voluto concretizzare una metacollezione fruibile nello spazio anzi nell’iperspazio della rete dai nostri smartphone o da qualunque punto di connessione.
Mai ci saremmo immaginati che questo spazio virtuale potesse diventare più realistico della realtà, più utile che mai, da oggi l’unico modo di far esistere al di fuori delle nostre realtà domestiche ciò che abbiamo costruito e collezionato in tutti questi anni, l’unica possibilità di mostrare al pubblico degli addetti ai lavori le nostre collezioni.
Ma come ne usciremo da questa impasse, dato che l’universo artistico, seppur molto evoluto da un punto di vista tecnologico rimane una realtà socio economica ad altissima incidenza relazionale? Come faremo a sostituire la nostra percezione visivo-tattile ad una schermata 3x3 cm di uno smartphone? Riusciremo a costringere la nostra naturale propensione allo stare in gruppo, a percepire l’energia del lavorare insieme fisicamente con il dialogo tra finestrelle sorridenti sullo schermo del computer?
Credo che la cultura in genere e le arti visive ancillari al nostro tempo saranno in coda nella ripartenza, speriamo con maggiore vigore per poter rigenerare la nostra socialità in modalità meno sincopata e irrazionale, in spazi comuni più consoni ad una relazione realmente di dialogo e scambio.
Impareremo questo dalla situazione in fieri di cui non conosciamo ancora l’esito e la sua evoluzione?
Il mio timore è che questa fase tragica passi e pur lasciando alle proprie spalle una scia tragica venga presto archiviata e l’ossessione sociale ci riproietti senza colpo ferire a tre mesi fa…
La mia speranza è che il nostro rapporto con gli altri, con l’ambiente che ci circonda, si possa ricostruire sulle macerie del dolore muto che stiamo vivendo settimana dopo settimana.
Diego Bergamaschi - Collezionista di arte contemporanea
#pensierieprogettidipersonecuriose