EFFETTO BEETHOVEN - DIARIO DAL VIRUS (prima parte)
Francesca Pasini - Maggio 2020
27 gennaio 2020
Galleria Milano, presentazione del libro di Daniela Comani, Sono stata io - Diario 1900-1999.
Ha ristretto il secolo in dodici mesi, abbinando a ogni giorno un dramma, un fatto, un’invenzione, ha determinato un’anomalia nella lista di eventi.
Calcando la mano in quel “sono stata io” indica, con molti brividi, la responsabilità individuale nella Storia.
1 Gennaio – Oggi a Berlino ho fondato il Partito Comunista Tedesco.
3 Gennaio - A Roma ho proclamato la dittatura fascista.
21 Gennaio - Muoio di infarto a Gorki.
27 Gennaio - Polonia, campo di concentramento di Auschwitz. Le truppe sovietiche mi hanno liberato.
30 Gennaio - Nuova Delhi. Ho ucciso Mahatma Gandhi.
E così via, giorno per giorno, mese per mese. Sono stata io: interrompe l’uso del neutro maschile per nominare la specie.
Due giorni dopo irrompono le liste di Wuhan: malati, infetti, morti, rimpatriati, quarantene, ospedali tirati su in 15 giorni. Comani ha avuto una previsione? O sono stata io?
19 marzo 2020
L’Italia è bloccata. E anch’io.
Non scrivo, non telefono, non mando cartoline, come diceva E T, nel film di Spielberg.
I soggetti viventi nell’arte mi aiutano a trovare le parole per dire la paura? No. E le affinità che finora mi indicavano? Si è fermato tutto. Il punto è dire: “Sono stata io”. Non per senso di colpa, ma perché la verità soggettiva, dell’arte o delle persone, non è sinonimo di condivisione e neppure di contrasto insanabile.
10 aprile 2020
Sospesa davanti alla televisione, prendo appunti, che vagano tra i fogli.
Ritrovo quello del virologo Massimo Galli, direttore dell’Ospedale Sacco di Milano, che il 21 marzo, nello speciale di Mentana dice: “In Italia gli anziani sono tantissimi, siamo la generazione del baby boom, ci appartengo anch’io ho 69 anni, dobbiamo avere attenzione, curarli, altrimenti andremo tutti insieme a sederci sopra la sanità facendola sprofondare, è una condizione sociale e culturale, che non può essere affidata al destino”.
Con una coincidenza postuma, le parole di Massimo Galli mi ricordano quelle della biologa Elena Cattaneo e dell’immunologo, studioso della longevità, Claudio Franceschi: Per invecchiare bene bisogna coltivare interessi culturali ed emozioni (Repubblica, 24,11,2014). Era stato lo spunto del mio articolo, La vecchiaia è finita (exibart on paper” - gennaio 2015).
Con l’arte, le idee e le emozioni mi fanno oltrepassare il tempo e rientrare nel mio, e la vecchiaia sparisce. Non riguarda solo la vita attiva, ma anche quella emotiva. “perché noi siamo il risultato di tutto quello che ci è successo nel corso di tutta la vita” (Franceschi).
Nel femminismo avevamo già capito che, partire da sé, è un atto biologico, politico, culturale. Ora contamina le ricerche scientifiche più avanzate.
La conoscenza emotiva, storicamente attribuita alle donne, non è più la sorella minore di quella razionale, ritenuta dominio maschile.
Due anni fa, mentre ero chiusa in casa per una caviglia rotta, ho fatto una prova generale di vecchiaia e mi sono resa conto che era finita. In quei giorni d’immobilità, ho sentito al Festival di San Remo 2012, l’esordiente Erica Mou che cantava. “Voglio diventare vecchia con i ricordi tutti intatti, con le rughe tatuate a ricordarmi quanto è stato bello ridere con gli occhi e con le labbra... Voglio diventare vecchia senza fretta…”.
La protezione dei ricordi può essere una guida per vivere la rivoluzione affettiva della fine della vecchiaia. Del resto, per quale motivo la curiosità verso di sé e verso il mondo dovrebbe attutirsi col tempo?
Forse valeva quando la forza fisica era base della sopravvivenza. Ma in millenni siamo diventati più complessi. “Esperimenti condotti su animali dimostrano che gli stimoli visivi inducono le staminali cerebrali a generare più neuroni”, scrive Elena Cattaneo. L’arte potenzia gli interessi culturali e le emozioni indipendentemente dall’età. Donne e uomini che non siamo più giovani, che abbiamo più esigenze e minori energie, stiamo imparando a diventare vecchi con desideri giovani.
Quando l’ho scritto, non pensavo alla salute fisica, ma a quella emotiva, che avevo vissuto nell’arte e nella progressiva libertà delle donne.
Un’opera è l’esempio perfetto di longevità: non invecchia, non si ammala, cambia età ogni volta che la guardi. La libertà delle donne ha cambiato millennio, in quelli precedenti non erano neppure nominate, in questi giorni in TV tutti citano malati e malate, virologi e virologhe, infermieri e infermiere, assessori e assessore. La pandemia ha scosso il linguaggio? O è la registrazione della realtà?
In una delle sue prime presenze a “di martedì” Ilaria Capua avverte: “I Big Data dicono che, in tutto il mondo, le donne sono meno suscettibili al contagio. Non sappiamo ancora perché, ma è un dato reale che dobbiamo studiare. Quando si potrà, bisognerà ripopolare partendo da chi è più sicuro, quindi le donne saranno importanti e le prime, può darsi che quando arrivano gli uomini non trovino più la scrivania!”.
Le scienziate sono tantissime e ci sono molte ricerche per capire la differenza di reazione alle cure nelle donne o negli uomini.
Una rivoluzione virale che contagia il mondo dell’Uno (Dio-Padre) e salva quello del Due? Scienza e arte lavorano su un’invenzione che, nella prima, deve essere verificata e applicata ; nella seconda, vista, ascoltata, letta. Ambedue testimoniano i cambi di civiltà. L’apparizione delle donne nell’arte visiva contemporanea è uno di questi.
Per me è stato prima di tutto uno choc intimo, fisico, come nel 1913 scriveva Adolf Loos a proposito del vecchio Beethoven.
Quando avremo un’immunità di gregge, anche il linguaggio guarirà. Tutte e tutti parleranno con le proprie dissonanze, “il loro spirito costruirà il loro corpo” senza bisogno di quote e di comitati scientifici di soli uomini. Un’aspirazione impossibile? Io punto sull’effetto Beethoven descritto da Adolf Loos.
Francesca Pasini - Critica d'arte
#pensierieprogettidipersonecuriose