Francesco Ronzon - Aprile 2020


Quando la guerra comincia (B. Brecht)


Forse i vostri fratelli si trasformeranno
e i loro volti saranno irriconoscibili.
Ma voi dovete rimanere eguali.

Andranno in guerra, non
come ad un massacro, ma
ad un serio lavoro. Tutto
avranno dimenticato.
Ma voi nulla dovete dimenticare.

Vi verseranno grappa nella gola
come a tutti gli altri.
Ma voi dovete rimanere lucidi


Ho scelto di iniziare con questa citazione di Bertold Brecht per due ragioni. La prima, perchè mi piace. La seconda, perchè in questi giorni una delle metafore più utilizzate per descrivere la nostra inedita situazione sociale è che siamo in guerra. E una delle cose che mi mette più paura della guerra è la velocità con cui la gente perde la testa e la ragione per lasciarsi trasportare dalla pancia e dalle emozioni. Più che non lasciarmi andare al lieve e gratificante compito di offrirvi le mie idee sul futuro (non sono un indovino, diceva Lévi- Strauss), mi limiterò quindi a suggerirvi come il virus ci può aiutare a leggere a contropelo tre luoghi comuni che troppo spesso diamo per scontati nei nostri dibattiti.
Il primo è il cambiamento. Di contro a quanto si dice, non credo che il virus stia apportando grandi modifiche nel nostro stile di vita. Basta osservare le enormi difficoltà con cui i cittadini di tutte le nazioni si stanno adeguando al lock down imposto alle loro routine quotidiane. A tutt’oggi si trova ancora gente nei bar, attorno alle panchine, in ritrovi sui marciapiedi. La "società liquida" è uno slogan che vale solo per gli aspetti più superficiali del vivere contemporaneo. In pratica, gli usi e costumi delle società umane si modificano (e si sono sempre modificati) con lentezza. Il vero enigma sarà proprio prevedere quello che accadrà in futuro a seguito dell’urto tra l’inerzia degli stili di vita e le nuove inedite difficoltà economiche.
La seconda questione riguarda l’uso della rete. L’impiego massivo di internet provocato dal distanziamento sociale non evidenzia affatto l’inevitabile e pervasivo nuovo destino epocale dei social media (per dirla con Heidegger) ma, al contrario, esemplifica ancor più chiaramente come le nostre vite non siano in grado di fare a meno delle care e vecchie interazioni umane. Il corpo dei runner, la musica dai balconi, l’esplosione delle solitudini non placate dai social, le famiglie che lottano per poter incontrare i propri cari. Le cronache italiane di questi giorni ci mostrano che se è possibile lavorare in rete, nessuno è però ancora in grado di viverci. Il 30% delle separazioni verificatesi in Cina a seguito della stretta convivenza forzata è un buon indice dell’ordinario e inevitabile peso della vita sociale non mediata tecnologicamente. Internet resta un gadget e Matrix nient’altro che un bel film (non una buona analisi sociologica).
Al terzo posto, vi sono infine gli sciacalli. Gli stati di emergenza non illuminano solo il valore degli esseri umani ma anche e sopratutto le loro miserie. È notizia di pochi giorni fa il vulnus democratico inflitto da Orban all’Ungheria con il pretesto del virus. E mai come in questi giorni si son visti tanti guru, politici e opinionisti cavalcare le paure e lo smarrimento pubblico per raccogliere piccoli consensi e dividendi elettorali. Insieme ai medici, infermieri e volontari in prima linea, su tv e giornali si sono accalcati anche truffatori, complottisti da cameretta, imprenditori morali in cerca di visibilità per i loro sottoprodotti. Come in ogni guerra, anche questa ha la sua quota di speculatori che approfitta delle incertezze comuni per portare avanti i propri interessi. "Da tempo e mare non si impara niente" (citazione da Francesco Guccini).
Non intendo però lasciarvi in eredità una visione cupa e pessimista. Ho aperto con una cruda riflessione di Brecht.
Voglio concludere con una nota di resistenza da "Le città invisibili" di Italo Calvino:


L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà, se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.


Ciao
Spero di incontrarvi
In un futuro prossimo
Col sole, per strada, in primavera


Francesco Ronzon - Antropologo culturale, direttore Accademia Belle Arti Verona
#pensierieprogettidipersonecuriose


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