Gabi Scardi - Giugno 2020

La vicenda del Covid 19 è stata una preziosa occasione di analisi e di autoanalisi. Ma è difficile da raccontare.
La sua scossa così forte ha fatto emergere i meccanismi emotivi profondi che regolano sentire e comportamenti; e ha consentito di constatare, a livello individuale e collettivo, a cosa sappiamo rispondere e da cosa invece ci lasciamo soverchiare, quali reazioni, quali energie profonde si è capaci di mettere in gioco a fronte di eventi e situazioni estremi.
Per quanto mi riguarda credo che la scoperta più diretta e bruciante sia stata quella del limite e della vulnerabilità; in senso emotivo, ancora più che fisico.
Porto con me il senso di incredulità e lo spaesamento dei primi giorni di clausura, l’esperienza di un’apprensione paralizzante; di una temporalità dilatata, ma anche appiattita: una sequenza di frammenti improvvisamente privi di ritmo, sottratti a ogni progettualità, a ogni direzione.
Resta anche il fastidio addirittura opprimente per alcune parole, per esempio per i riferimenti a una situazione bellica, gli inni agli eroi, nei quali ho sempre avvertito ambiguità e retorica.
Per il resto penso che si sia trattato, a livello individuale e collettivo, di un acceleratore. Molto di ciò che ora si prospetta come nuovo era già presente sottotraccia; la tendenza a una veloce digitalizzazione in ogni campo è un esempio.
Le trasformazioni vere e proprie, sociali e individuali, richiedono invece un’assunzione di responsabilità e un grande e consapevole sforzo, perché la tendenza alla persistenza e la forza di inerzia sono forti. Mi chiedo se ne avverranno.
Più forte di ogni altra cosa resta la percezione che, come individui e come collettività, siamo ecosistemi, interconnessi, dipendenti; che anche la salute, la serenità, non possono essere solo soggettivi. Non possiamo, neanche per un attimo, evitare di collocarci in una cornice complessiva. Da qui l’importanza del concetto di cura, del quale già, negli ultimi anni, mi stavo occupando. Nulla è troppo piccolo, ininfluente, lontano per meritare attenzione. Cura, premura, attenzione sono dunque concetti da cui ripartire, dopo la clausura, per recuperare noi stessi e, soprattutto, lo spazio esterno, pubblico, condiviso: quello dell’interazione, a cui, per mesi si è dovuto rinunciare.
In questi mesi, agenti di serenità sono stati la luce delle giornate che si allungavano, il verde brillante degli alberi che si espandeva, l’aria limpidissima.
Decisamente lo spazio privato viveva in relazione al fuori. Il disastro in corso generava un senso di accerchiamento; ma la felicità della natura consentiva momenti di gioia.
Resta forse da parlare della cultura, che, per me, costituisce un ambiente immersivo tanto quanto quello naturale; ed è sempre stata esperienza condivisa del presente. Molte opere improntate a un atteggiamento di interconnessione, di sollecitudine, di sensibilità sociale mi si sono rivelate con nuova intensità, e nella loro valenza predittiva.
Ma in molti, in questi mesi, abbiamo anche vissuto la frustrazione di vedere l’arte sminuita; presentata non come pensiero, ma come pretesto comunicativo, come riempitivo fruibile attraverso la cornice del monitor; surrogati dell’arte, che ci si dimenticava di dichiarare tali. Anche in questo senso, si tratta ora di recuperarne il senso profondo, e pubblico.

Gabi Scardi - Gabi Scardi è storica dell’arte e curatrice di arte contemporanea. Lavora nell’ambito dell’arte pubblica e dei progetti sul territorio.
#pensierieprogettidipersonecuriose


.