Michele Rocco - Aprile 2020

Come stiamo costruendo “ponti” dall’interno verso l’esterno delle nostre case?
Quello che stiamo vivendo è unico e non riconducibile a esperienze umane precedenti: per grandezze e per modalità. È come essersi addormentati in un mondo e risvegliati in un altro. Se pensiamo ad affacciarci all’esterno ora sappiamo che quello che prima erano atti dell’ordinaria umanità relazionali ora sono diventati minacce, armi che nemmeno conosciamo; ma sono tra le nostre mani, nei nostri abbracci, nei nostri respiri, droplet li chiamano, ma erano anche sospiri sino a qualche giorno fa’. Cosa sono diventate le nostre case? E come immaginare questi ponti verso l’esterno? Mi viene in mente un’immagine dal mondo animale: personalmente la casa è diventata un bozzolo. Come si sa la farfalla depone le uova in modo che rimangano ben nascoste e protette magari vicino a piante le cui foglie diventeranno nutrimento per il bruco, ossia la larva, un essere con un apparato masticatore potentissimo che utilizzerà per aprirsi il varco attraverso il quale uscire dall’uovo e per cibarsi. Grazie alla sua voracità il bruco cresce molto velocemente e dopo essersi abbondantemente nutrito, comincia un periodo di riposo, all’interno un bozzolo. È lì, nel bozzolo, che comincia la più importante trasformazione con metamorfosi, demolizione di vecchi tessuti, vere e proprie lacerazioni. Dopo un tempo che può essere anche molto lungo si libera dell’involucro protettivo ed esce all’esterno con le ali ancora accartocciate che pian piano si dispiegheranno per consentire alla farfalla che ora è divenuta, di spiccare il volo. L’emergenza in corso ci ha imposto di tornare e restare nelle nostre case, senza più scuse per rinviare di nutrirci lì nel nostro bozzolo imposto ma ritrovato. Sarà un processo selettivo, mi vien da dire drammatico e positivo. Solo coloro che saranno in grado, come i bruchi più forti, di liberarsi dai rifiuti accumulati all’interno del corpo durante la fase neo-ninfale della crisalide che siamo stati invitati a reincarnare, ce la faranno. E per noi umani, nel ricorso all’intelligenza, si tratterà dei rifiuti ben oltre la corporeità. È una ristrutturazione di valori e di credenze, ognuno per proprio conto per unirsi a nuove coscienze collettive.

Come rigenereremo la nostra socialità e gli spazi comuni?
Questa emergenza sanitaria che è diventata già sociale ed economica non sta facendo alcuna distinzione di censo, di gerarchia, di etnìa. Probabilmente abbiamo sottovalutato la portata della globalizzazione che nel tempo ha reso tutti molto vicini e connessi. Ma è bastato un virus per bruciare le distanze, per accorciarle ben oltre quello che ha consentito il web, l’alta velocità, il supersonico delirio di velocità e connessioni superando oceani e continenti senza nemmeno un centimetro di fibra ottica e travolgendo tutte le nostre (pseudo) certezze. Rispondo e credo che si dovrà ricorrere alla dote della speranza che è poi una dote d’amore. Intendo quella speranza che è in tutto ciò che rinasce, perché rinascerà ne sono certo. Così come accade con un amore nuovo, ci si affida alla speranza che sia quello giusto, che duri. Ecco, questa emergenza nel negarci alcune forme elementari delle qualità intrinsecamente relazionali dell’essere umano, impedendo ogni forma di interazione fisica, ci sta chiedendo di ripensare alle relazioni. In questa chiave spazi comuni sono il territorio delle relazioni “nuove” innanzitutto al servizio della socialità: intendo gli spazi comuni come il nostro ecosistema che di fatto sta reclamando un deciso contrappasso. Non possiamo continuare a vivere annullando la nostra indole relazionale, è contro-natura e quindi l’appello è ad una corporeità ritrovata, rivissuta perché le relazioni non possono prescindere da corpo verso altre corporeità. Mettiamola così: per salvare la nostra vita siamo stati costretti a distanziarci, ad isolarci. Ma salvando la vita abbiamo minato il nostro senso culturale che si serve di quello corporeo perché è venuto meno il luogo dell’incontro fra le persone e conseguentemente del riconoscimento sociale che avviene – e non è un giro di parole- attraverso la percezione corporea. Aggiungo che questa crisi ha solo mostrato quello che già stava accadendo. La parte del mondo più vicina a noi – mondo per ora negato, vietato – è il corpo che è l’unico tramite ci pone in relazione con tutte le cose e con tutti gli esseri. La via rispetto alla socialità e agli spazi è quindi quella di ristabilire una prossemica e tutte le dimensioni, affettive e non, cogliendo ogni pretesto. Il primo che mi viene in mente è l’urlo collettivo per una sanità degnamente governata: diamo voce a un’informazione sana, non necessariamente allineata al rumore di fondo mainstream, che lo si faccia ad arte, con l’arte e per l’arte.

Come interverremo per ristabilire un equilibrio tra l’uomo e la natura?
L’uomo non è indispensabile senza la sua intelligenza. Il mondo fuori ha continuato a manifestarsi anzi evidenze straordinarie di quanta natura animale e vegetale hanno occupato lo spazio che forse poco degnamente abbiamo occupato sino a ieri. Peraltro almeno nelle grandi città come Milano, quella che sembra aria pulita in effetti non lo è così tanto: ci sono infatti, tassi di PM10 ancora alti nonostante non circolino auto: quindi si ripropone il tema di come e quanto riscaldiamo le nostre case ad esempio. Sono un manager che si occupa di sostenibilità, di raccontarla soprattutto con numeri e fatti. Risponderò che ora e nell’immediato futuro che non conosciamo ancora, la strada passa per una sola parola: responsabilità, nel suo significato più profondo anche etimologico, ossia la capacità di trovare le risposte. E aggiungo che il vero tema a questo punto è puntare alle giuste domande e avverto che su questo c’è confusione e soprattutto punti scoperti di responsabilità cioè di coloro che devono darci le risposte. Non ci sono alternative a mio avviso alla revisione dell’idea di città e di spazio vitale: si dovrà riconsiderare una deurbanizzazione progressiva verso campagne accessibili fuori dell’idea dell’avventura solitaria e miticamente faticosa.

Cosa stiamo imparando da questo tempo?
Personalmente sto imparando che per approdare all’esterno – ove tutti stiamo anelando - si dovrà partire dall’interno, capovolgere la prospettiva: le ali della libertà ed ognuno può definirla come vuole, sono dentro. E accogliere una diversa velocità, questo è un altro vincolo con cui dovremo confrontarci: ci hanno imposto di stare a distanza, di mantenere le distanze. Immaginiamo cosa accade (anzi accadeva) in autostrada quando si rispetta la distanza di sicurezza in presenza di grande traffico: si rallenta. Il distanziamento ci porterà meno velocità in quasi tutti gli ambiti esistenziali: dovremo imparare ad andare più piano.

Michele Rocco - Head of CSR monitoring & developement Intesa San Paolo, Personal coach-counselor-laughter, Yoga leader
#pensierieprogettidipersonecuriose


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