Raffaella Cortese - Aprile 2020
Mi chiedo non solo cosa, ma anche quanto rimarrà di questo tempo? Molto, perché è stato ed è un tempo denso, un tempo imprevisto, un tempo doloroso e un tempo di grande precarietà. Riguardo a cosa rimarrà di questo tempo: i tempi di grande crisi si possono trasformare in tempi di grandi idee. Se le emergenze richiedono misure eccezionali, anche noi dobbiamo rispondere in modo straordinario. Parlo di immaginarsi il tempo della "fase due" e il futuro più prossimo: il desiderio di ricominciare e di recuperare è forte, ma le modalità saranno lente, graduali, inusuali. La crisi economica sarà profonda e durerà a lungo, i nostri comportamenti sociali rimarranno alterati sino a quando non si scoprirà il vaccino.
In questo senso, ho apprezzato molto la recente lettera di Giorgio Armani al mondo della moda. Ne esplicita le esagerazioni, l'eccessiva mobilità, i party lussuosi, i luccichii accecanti, mentre auspica un ridimensionamento delle attività e confida nella capacità di riallineare le priorità, tornando a un’idea meno effimera della moda, più classica. In fondo, l'accelerazione dei ritmi ha contraddistinto tanto il mondo della moda quanto quello dell’arte negli ultimi anni: le preview delle fiere e gli opening delle mostre sono stati sempre più numerosi e affollati. Abbondano gli eventi culturali di cui la maggior parte viene presto dimenticata. Ci siamo dimenticati che evento significa accadimento, cambiamento, rivoluzione. Forse torneremo capaci di distinguere le cose importanti e fondanti dell’arte.
La condizione di isolamento fisico che stiamo vivendo mi ha riavvicinato, con nuova consapevolezza, all'opera di alcuni artisti che volontariamente si sono sottratti al mondo, ma solo apparentemente: Franco Vimercati ha fatto dell'isolamento uno strumento di conoscenza esemplare del mondo, meglio di tanti viaggiatori, attraverso l'osservazione dei più banali oggetti quotidiani.
Abbiamo subito capito che le misure restrittive erano importanti per noi stessi, per le nostre famiglie e per la collettività intera. Ma il tema del benessere collettivo è più ampio e precede la pandemia, riguarda i cambiamenti climatici e i disastri ambientali che ne conseguono. Penso a due voci del mondo dell'arte che si esprimono con forza su questo tema, e che mi sono vicine: Monica Bonvicini, che porta avanti da molti anni una ricerca sulle catastrofi ambientali, e Joan Jonas con il suo toccante lavoro sulla vita oceanica, così ricca e così minacciata.
Mi viene in mente la ricostruzione del ponte di Genova affidata a un grande maestro dell'architettura, Renzo Piano: una tale tragedia ci insegna che la rinascita, necessaria, può manifestarsi in una forma di rinnovata bellezza. Non appena potremo riattivare le vere relazioni, quelle caratterizzate dal calore umano e dalla fisicità, non filtrate dalla tecnologia, riscopriremo molti piaceri. La tecnologia è stata uno strumento fondamentale in questo periodo, lo sarà anche in futuro, ci ha permesso di incontrarci in remoto, di procedere con il lavoro nella sua versione "smart", ma ci ha anche reso più consapevoli dell'insostituibilità delle relazioni umane.
Raffaella Cortese - Gallerista
#pensierieprogettidipersonecuriose